Tra le strade di Napoli, il cognome di Sophia Loren echeggia con un accento diverso: non Lòren, ma Lorèn.
Da piccola, sentivo parlare di lei ovunque. I discorsi erano più o meno questi: Sophia Lorèn è bellissima, bravissima, è un orgoglio per questa città, è l’oro di Napoli.
Se oggi qualcuno mi chiedesse di descrivere la mia città attraverso l’immagine di una persona, sceglierei – senza alcun dubbio – Sophia Loren.
Come accade spesso ad attori e attrici che diventano dei simboli, Sophia Loren ha una fama che la precede e un immaginario che esiste soltanto nella mente del suo pubblico.
Tante persone, nel corso degli anni, mi hanno parlato di lei e mi hanno raccontato cose della sua vita come se la conoscessero da sempre, pur non avendola neanche mai incontrata.
È così che ho scoperto, da bambina, la storia di quella ragazza di Pozzuoli (di umili origini, questo particolare non manca mai) che è diventata un’attrice, sfidando tutti i canoni dell’epoca.
Ai primi provini le dicevano: «Ok, Sophia, sei bella, ma hai i fianchi troppo larghi e il naso troppo grosso».
Lei non ha risposto con le parole, l’ha fatto con le sue azioni: non ha mai cambiato nulla di sé, non ha mai ritoccato il suo aspetto per rientrare negli standard di bellezza della sua epoca.
Un’altra cosa che so, dai racconti che girano a Napoli, è che ha sempre voluto separare la sua persona pubblica dal suo privato.
Questo probabilmente perché, come ha spesso detto in passato, non si è mai sentita davvero una diva, non si è mai sentita distante dalle persone comuni, dalla sua città, dai vicoli in cui è cresciuta.
Una volta ha detto: «La vita mi ha portato lontana dalle mie radici, ma il mio cuore resta lì, nella luce, nella lingua, nella cucina».
Sophia Loren non ha mai smesso di parlare napoletano, e credo sia stata proprio lei a sfidare la percezione stereotipata che si ha di questo dialetto, considerato rozzo e volgare.
È stata lei a ricordarci quanto il napoletano sia musicale e quanto, al napoletano, appartengano concetti indescrivibili se non usando i suoi suoni, un modo di raccontare le cose che è soltanto suo:
«In napoletano mi esprimo meglio, riesco a dire cose che non posso dire in italiano, tanto meno in inglese o in francese. Ci metto così tanto amore, in questa lingua»
Sophia Loren parla di Napoli, e Napoli parla di Sophia Loren. In ogni angolo della città, c’è qualcuno che ricorda i suoi film, qualcuno che imita le sue battute o i suoi balli, un murale nel centro storico che sembra davvero una sua foto.
Forse perché Sophia Loren, a Napoli, è una presenza che cammina tra i passanti come se la recitazione non l’avesse portata a vivere altrove. Come se, tra una storia e l’altra, lei si trovasse a Piazza Bellini a bere un classico caffè.
È un legame, quello tra Sophia e la sua città, viscerale: non potrebbe esistere Napoli, così come la conosciamo oggi, senza Sophia Loren.
Io credo che lei abbia contribuito a costruire una narrazione di Napoli e delle donne partenopee che sfida qualunque canone e qualunque stereotipo. E l’ha fatto in un’epoca in cui non era per niente scontato farlo.
Sophia ci ha fatto incantare come ci fa incantare chi, arrivando a ricoprire ruoli come i suoi, smette di essere attore/attrice e diventa una leggenda. Come chi, nel tempo, riesce a costruire una storia tutta sua che dura per sempre.
La storia delle stelle del cinema ad un certo punto diventa quasi una favola, un racconto che oscilla tra l’esistenza effettiva di un mito e la costruzione di quel mito nell’immaginario comune.
Di sé, Sophia Loren, che ha compiuto novant’anni pochi giorni fa, ha detto il giusto.
Poche parole, pochi fatti.
Il resto è pura immaginazione: lei, tra le strade di Napoli, e una città che l’ha scelta come simbolo.