Un attimo fugace. Un giro sulla ruota del tempo. Parigi che risplende. Un passo deciso, a tratti impaurito, ma audace. Alla ricerca di una nuova spinta verso il mondo.
«Mi sembra di non avere più paura. E mi sembra di essere felice». Si conclude con questa frase Cléo dalle 5 alle 7, un film degli anni 60 diretto da Angès Varda, che è stata definita da parte della critica “la prima regista femminista”. E di certo si era battuta per cause importantissime: nel ‘71 aveva firmato il Manifesto delle 343, una dichiarazione pubblicata il 5 aprile 1971 dalla rivista Nouvel Observateur in cui 343 donne ammettevano di aver avuto un aborto, esponendo se stesse alle relative conseguenze penali.
In Cléo - che è la storia di una cantante francese che, in attesa dell’esito di un esame medico, passa del tempo a Parigi e incontra nel giardino di Monstsouris un soldato di cui si innamora - la regista mostra allo spettatore una serie in contesti in cui le donne risultano stereotipate e crea un’atmosfera in cui, poco alla volta, sembra voler rovesciare questa “rappresentazione tradizionale”: all’inizio ci sono oggetti come specchi, cappelli, collane, anelli, vetrine, parrucche, occhiali scuri, che vengono poi eliminati nelle sequenze successive, come scrive Paola Di Cori in quest’articolo su Ingenere, per rovesciarne l’uso. Infatti, mentre nella prima parte del film descrivono una bella donna che si mette in mostra e si offre allo sguardo altrui, nella seconda scompaiono.
“Quando in Cléo de 5 à 7 Corinne Marchand si guarda allo specchio e si toglie il cappello, il suo personaggio si trasforma da colei che è guardata in colei che guarda e che decide autonomamente della propria immagine. Questa rivoluzione dello sguardo è centrale per comprendere la poetica e la politica di Varda, cineasta e femminista”, scrive Silvia Nugara su Il Manifesto.
La teorica del cinema femminista Hilary Neroni sostiene che Varda "crea uno dei più grandi capolavori femministi nella storia del cinema mettendo in scena le contraddizioni della femminilità e costringendo lo sguardo a sperimentare queste contraddizioni senza alcun mezzo di fuga… Cleo da 5 a 7 ci fa vedere che il femminismo non è solo un progetto di emancipazione femminile ma un progetto di emancipazione per tutta la società”.
Dalle 5 alle 7 è il tempo che Cléo trascorre - e che noi trascorriamo con lei - mentre attende gli esiti del suo esame. Ciò che sottolinea Neroni, a tal propsito, è che il film non tratta di relazioni sessuali, ma di una "breve ma intensa relazione con la possibilità della morte”. E così la protagonista si trova ad affrontare una vera e propria crisi esistenziale, in cui vengono a mancare tutte le certezze che aveva per costruirne nuove, quelle che, alla fine, la porteranno a dire: “Mi sembra di non avere più paura”.
Parigi, in questo contesto, l’accompagna, le fa da supporto e le conferisce nuovi stimoli. E Varda, attraverso la Parigi che cura le ferite dell’anima, richiama la figura della flâneuse, nata dal flâneur di Balzac e Baudelaure: qualcuno che vaga senza meta, lasciandosi trasportare dallo spirito di una città.
«La strada diventa un sogno ad occhi aperti, le vetrine non sono inviti a comprare, ma paesaggi... Il vero flâneur è come un lettore che legga un libro esclusivamente per passatempo e per piacere, un tipo umano che al giorno d'oggi sta diventando raro», scriveva Franz Hessel a tal proposito.
Ci sono vari momenti in cui, nel film, si riflette sugli stereotipi legati all’immagine della donna del tempo.
Per esempio, quando Cleo incontra la sua amica Dorothée le chiede se si senta bene “a fare la modella nuda”. L’amica risponde che gli spettatori che la guardano mentre posa, in realtà, non stanno realmente guardato lei, ma piuttosto solo un corpo e le loro idee su come sia un corpo femminile.
Attraverso questo dialogo, si presenta al pubblico una riflessione sul corpo delle donne come “piacere visivo”.
Kenya Vazquez su The Gazzelle scrive che quando Cleo e il suo amante arrivano a casa sua, Angela, la cameriera di Cleo, le ricorda che non deve menzionare la sua malattia perché “agli uomini non piace”.
Poco dopo, quando i due si scambiano parole sommesse e carezze, la macchina da presa risulta essere lontana, ripresa da un campo lungo.
La visione del mondo di Agnès Varda è molto interessante. E, come disse durante un’intervista, ha cercato di essere una “femminista gioiosa”, ma era “molto arrabbiata”.
Grazie per l’ottima recensione! Non conoscevo il film che ho deciso di vedere al più presto.