Ho passato le ultime due settimane a leggere cose sulla gestazione per altri e altre, un tema che sta dividendo l’opinione pubblica e anche il femminismo (anzi, i femminismi). Pensieri, riflessioni, libri. Oggi vi spiegherò i punti indi vista di varie femministe al riguardo. Chi è pro? Chi è contro? E perché? Su cosa dovrebbe vertere una giusta analisi? Le mie premesse sono due: chi critica, da un punto di vista femminista, la gestazione per altri e altre lo fa per delle ragioni molto diverse rispetto a quelle della destra politica (quindi vi invito a non equipararle alle analisi delle studiose che nominerò) e chi è pro lo è per altre ragioni ancora (ragionamenti sul corpo, l’autodeterminazione, la scelta). Le domande che dovremmo porci sono le seguenti: qual è il punto di vista più giusto? E, soprattutto, ne esiste uno giusto? O dovremmo riflettere su più realtà, giuste?
Ad ogni modo, scelgo di utilizzare “gestazione per altri e altre” e non termini come “maternità surrogata” e “utero in affitto” perché mi sembra il più rispettoso; inoltre scelgo di usare “altri e altre” perché alla GPA ricorrono anche le donne. Con più precisione, si tratta di una procedura richiesta in maggioranza da coppie eterosessuali che hanno problemi ad avere figli (questo è un punto spesso ignorato), in minoranza da coppie di uomini e - anche se ancora più raramente - da coppie di donne.
Innanzitutto la gestazione per altri e altre è una forma di procreazione assistita in cui una donna porta avanti una gravidanza per conto di una o più persone, ovvero il futuro genitore o i futuri genitori del nascituro. E può essere tradizionale o gestazionale: nella GPA tradizionale l’ovulo fecondato è quello della donna che porta avanti la gravidanza; nella GPA gestazionale l’ovulo fecondato può appartenere, invece, o alla madre che adotterà il bambino o ad una terza donna. Inoltre, la GPA tradizionale prevede che il seme utilizzato sia quello del padre del nascituro, mentre la GPA gestazionale prevede che l’ovulo fecondato sia realizzato in vitro e che poi l’embrione venga impiantato nell’utero della donna che porta avanti la gravidanza.
Un’altra cosa molto importante da aggiungere è che la GPA altruistica - come è prevista, per esempio, in Grecia, Paesi Bassi e Regno Unito - prevede che la donna gestante non debba ricevere un compenso per portare avanti la gravidanza; mentre invece la GPA retributiva - come si pro ottenere, per esempio in alcuni stati degli USA - prevede che alla donna gestante venga dato un compenso, spesso anche importante: si aggira, infatti, tra i 30.000 e i 40.000 dollari.
Come riporta Serena Marchi in Mio tuo suo loro, la prima sentenza italiana sulla GPA risale agli anni Ottanta, quando il tribunale di Monza affermò che fosse “nullo il contratto con cui una donna consentisse, verso compenso, a ricevere il seme di un uomo e a portare a termine la gravidanza, rinunciando ai suoi diritti di madre”. Poco dopo quello di Roma si espresse in maniera opposta, affermando che “il contratto di maternità surrogata deve ritenersi lecito e meritevole di tutela in quanto costituisce l’affermazione del primario diritto alla procreazione […]”.
È stata la legge n.40 del 19 febbraio 2004 a definire l’illegalità della GPA, affermando, nell’articolo 12 comma 6: “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da 3 mesi a 2 anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.
In queste ultime settimane se ne sta parlando molto in quanto il Comune di Milano ha interrotto la registrazione di figli di coppie omosessuali, dopo una circolare del Prefetto di Milano (a sua volta ricevuta dal ministero dell’Interno). Fdi e Lega hanno proposto una legge per dichiarare la GPA “reato universale” e quindi perseguibile anche se effettuata all’estero (per molti giuristi però non è applicabile).
Ma come la pensano le femministe al riguardo? In modo molto diverso l’una dall’altra, sinceramente. Ed è davvero impossibile racchiudere le loro idee in un’unica bolla. Come spiega la professoressa Lori Andrews in Surrogate Motherhood: The Challenge for Feminists (1988), molte femministe pensano che “la maternità surrogata sia una delle tante scelte riproduttive che sono libere di fare”. Molte altre, invece, la considerano una forma di sfruttamento del corpo delle donne, soprattutto di donne povere, attraverso le lusinghe del denaro, l'aspettativa sociale del sacrificio di sé o entrambi.
La filosofa e professoressa Anita L. Allen in Surrogacy, Slavery, and the Ownership of Life scrive che “la maternità surrogata dipende dalle concezioni ottocentesche del sacrificio e dell'abnegazione femminili. Dipende anche dalla nostra disponibilità a cedere a ulteriori pressioni per commercializzare certi aspetti della vita umana”.
In un articolo pubblicato nel 1992 sull’Indiana Law Journal, Selling the Womb: Can the Feminist Critique of Surrogacy Be Answered?, Katherine B Lieber spiega che uno dei principi fondamentali del femminismo è che il destino delle donne “non dovrebbe essere controllato dal loro apparato riproduttivo”. Storicamente, aggiunge, i ruoli sociali delle donne “sono stati definiti dal fatto che solo le donne possono rimanere incinte. Quindi mettono al mondo bambini, ma hanno anche la responsabilità primaria di crescerli”. Ma, continua, "il controllo sui corpi delle donne, e in particolare sulle loro capacità riproduttive, è stato in gran parte nelle mani degli uomini. Per secoli le donne sono state considerate poco più che proprietà dei loro padri o mariti”. Dunque, la maternità surrogata, per le femministe contrarie, evoca molte delle stesse paure: che i corpi delle donne possano essere controllati e sfruttati.
La femminista radicale Andrea Dworkin nel suo libro Right-wing Women (1983) afferma che tutte le tecnologie riproduttive "rendono l'utero estraibile dalla donna come persona intera allo stesso modo in cui la vagina (o il sesso) è ora”. E spiega che si tratta di una pratica dannosa in quanto "l'integrità di un individuo è influenzata negativamente dall'essere discussa nella retorica del mercato come merce fungibile”. È della stessa opinione la radicale Catharine MacKinnon, che spiega inoltre che le obiezioni alla maternità surrogata sono obiezioni al controllo del corpo delle donne da parte di un'altra persona.
Considerando l’utero una “merce”, molte femministe sulla scia di Dworkin pensano che le donne potrebbero essere considerate meramente per le loro capacità riproduttive e svilite in questo ruolo. Inoltre, a causa del beneficio economico, ritengono che la gestazione per altri e altre possa avvenire a beneficio di persone ricche e a discapito di donne povere, che potrebbero non vedere alternative per migliorare la propria condizione economica.
In quest’ottica, potremmo affermare che la forma di GPA più problematica sarebbe quella remunerativa; ma quella altruistica, per le radicali, comporterebbe comunque una violenza, dal momento che le donne sarebbero viste come “angeli che agiscono per il bene comune”, e sarebbero comunque condizionate nelle loro scelte, subendo pressioni economiche e sociali. Andrea Dworkin, a tal proposito, scrive: "Sia nella prostituzione che nella maternità surrogata lo stato ha costruito la situazione sociale, economica e politica in cui la vendita di alcune capacità sessuali o riproduttive è necessaria alla sopravvivenza della donna”.
La scrittrice Gena Corea in The Mother Machine afferma che nella società c’è una certa tendenza nel far credere alle donne che “sia giusto porre i bisogni degli altri prima dei propri”. E scrive: “Dato che la procreazione è la funzione principale per la quale le donne sono apprezzate, non sorprende che alcune donne si sentano speciali solo quando sono incinte e affermare che amano la riproduzione”. Le donne, scrive Corea, “possono desiderare di essere incinte, […] ma hanno il potenziale per volere anche altre cose”. Questo potenziale, aggiunge, rimane in gran parte insoddisfatto. E si creerebbero pressioni che influenzano la decisione di una donna, portandola a credere che la gravidanza sia la sua funzione principale e che la maternità surrogata sia semplicemente una progressione naturale di tale funzione.
Inoltre, prosegue Corea, le donne che portano avanti una gravidanza per altri e altre potrebbero pentirsi della loro scelta. Ma sarebbe troppo tardi, in quel caso. E non potrebbero riavere il proprio figlio. A questo, però, spesso si dibatte richiedendo una tutela per le donne gestanti: per esempio, permettendo loro di avere un tempo per riflettere e scegliere se proseguire o meno dopo la nascita del bambino.
Il femminismo liberale, invece, nel tempo ha adottato una posizione positiva in merito alla gestazione per altri e altre, soffermandosi sulla capacità delle donne di poter determinare i propri diritti riproduttivi e quindi decidere liberamente se portare avanti una gravidanza per altri o altre.
In particolare, queste nuove idee si sono sviluppate tra la fine degli anni 90 e l’inizio dei 2000.
Allontanandosi dalla visione dello sfruttamento, alcune femministe hanno iniziato a considerare l’idea di poter portare avanti una gravidanza per terzi come una libera scelta.
Riporterò, in seguito, le argomentazioni di Deborah Machalow a favore della legalizzazione della maternità surrogata commerciale nello Stato di New York: “La capacità di stipulare contratti, inclusi accordi di maternità surrogata, è inclusa nel significato di autonomia personale. L'applicazione degli accordi di maternità surrogata rafforza l'autodeterminazione e l'autonomia personale, in quanto l'imposizione "presuppone che il corpo della donna sia suo e solo suo, a meno che ella non acconsenta a qualche uso particolare”.
L’idea è: il corpo è mio, ne faccio ciò che voglio. E sarebbe sbagliato anche pensare che le donne siano esseri incapaci di scegliere: è su questo principio che, d’altronde, si è soffermato il patriarcato per millenni, prendendo le decisioni al loro posto. Vogliamo continuare a farlo anche noi?
Una riflessione interessante, per spiegare la diversità dei punti di vista, è il ruolo della madre nella gestazione per altri e altre: perché madri non si è, si sceglie di esserlo. E, come scrive Giulia Siviero in un articolo su Il Post, “lo si diventa se lo si desidera”. Non possiamo soffermarci sul legame “biologico” tra gestante e nascituro, perché il legame tra i due è qualcosa che si costruisce; inoltre, stabilendo un “criterio biologico” per definire chi è “la vera madre”, svilirebbe tutte le madri che non lo sono biologicamente, ma sono - e hanno il diritto di essere riconosciute come tali - madri a tutti gli effetti. E, come aggiunge Siviero, “l’operazione di distinguere i due processi è fondamentale: una donna che resta incinta è libera di agire per rifiutare di diventare una madre”.
“L'idea che le potenziali surrogate siano troppo ingenue per conoscere i rischi è paternalistico. E il concetto che negli Stati Uniti qualcuno diventi una surrogata accidentalmente o contro la propria volontà fa ridere. Le agenzie e i medici coinvolti nella maternità surrogata hanno linee guida che richiedono severi controlli dei precedenti, fisici, conversazioni e screening psicologici”, ha scritto in un articolo pubblicato sul Washington Post Ali Rosen.
Serena Marchi in Mio tuo suo loro - che raccoglie le testimonianze di donne che hanno scelto liberamente di essere gestanti - si chiede: perché se una donna che sceglie di abortire può farlo secondo il principio che l’utero è suo, mentre invece se sceglie di portare avanti una gravidanza per conto di terzi l’utero non è più suo, ma diventa vostro, tuo, e loro? Perché una donna non potrebbe scegliere consapevolmente e in totale autonomia di intraprendere questo percorso?
“Resto convinta che sapere cosa sia meglio per gli altri sia un atteggiamento colonialista”, scrive Marchi. “Impedire a queste donne di decidere di utilizzare - in qualsiasi modo - il proprio corpo, a mio modesto parere, serve solamente a negare la soggettività e l’intelligenza delle donne stesse”, conclude.
Sulla capacità di scelta delle donne si è espressa anche Carmel Shalev, scrivendo che "il rifiuto di riconoscere la validità legale degli accordi di maternità surrogata implica che le donne non sono competenti, in virtù del loro sesso biologico, ad agire come agenti morali".
Nel saggio di Lieber citato all’inizio, l’autrice, riportando il punto di vista delle femministe liberali, scrive che il diritto di controllare il proprio corpo è fondamentale. E questo controllo “è evidenziato in molti modi, ma l'elemento principale del controllo è la scelta: la scelta di non rimanere incinta, la scelta di rimanere incinta e la scelta di abortire. La scelta di diventare una madre surrogata o di assumere una madre surrogata è una naturale evoluzione del diritto di scelta riproduttiva. Limitare le scelte delle donne in materia di maternità surrogata può portare a limitare le scelte che sono già state legalmente garantite alle donne”.
Da un lato, quindi, c’è l’idea del corpo sfruttato. Dall’altro, invece, la possibilità di scelta. Per alcune, esistono entrambe le realtà. In un articolo scritto da Julie Shapiro dal titolo For a Feminist Considering Surrogacy, Is Compensation Really the Key Question?, l’autrice scrive: “Nonostante le preoccupazioni circa il potenziale sfruttamento delle surrogate, non mi oppongo alla maternità surrogata in generale. Perché ci sono altre prove dalla pratica della maternità surrogata da prendere in considerazione: negli ultimi trent'anni, migliaia di donne hanno prestato servizio come surrogate e l'hanno trovata un'esperienza gratificante e arricchente. E proprio come sembra impossibile ignorare il potenziale e l'evidenza dello sfruttamento, mi sembra irragionevole scartare o invalidare l'esperienza delle donne che hanno tratto beneficio dall'essere madri surrogate”.
E aggiunge: “Concludo che le femministe possono e devono sostenere la maternità surrogata purché sia strutturata e regolata in modo da proteggere efficacemente la surrogata”.
Concordo. Del resto, la complessità è un dato caratterizzante la nuova e più recente generazione dei diritti, che investono la persona nel suo rapporto problematico con l' azione manipolatrice della scienza e della tecnica: fino a che punto queste sono liberanti, veicolo per l' esercizio di un diritto, e quando invece finiscono per ledere altri diritti: basti pensare all' ingegneria genetica , ma anche, più semplicemente alla diagnostica prenatale, che può condurre una coppia a scegliere di attribuire il diritto alla vita a un nascituro in base al sesso voluto, maschio o femmina. Grazie!
Grazie per questa esposizione, molto interessante. Si tratta naturalmente di teorie, che però si confrontano con la realtà, il che le rende plausibili ma necessariamente vere solo in alcune circostanze. Ci sono indubbiamente donne che scelgono in piena consapevolezza e libertà di permettere a coppie di avere un figlio: si tratta della libertà di disporre del proprio corpo, non dissimile dalla scelta di lasciare che il proprio cadavere possa essere utilizzato a fini di studio, legale in Germania da molto tempo, in Italia da pochi anni. Al tempo stesso, si verifica anche che la GPA può essere una scelta solo parzialmente libera, poco consapevole e soprattutto dettata dal bisogno, fino a diventare una forma di sfruttamento del corpo di una donna povera da parte di mediatori interessati e committenti benestanti. Al riguardo, ho trovato ricco di spunti quest'articolo pubblicato pochi giorni fa su Volere la luna: https://volerelaluna.it/controcanto/2023/03/31/maternita-surrogata-il-silenzio-a-sinistra/.
Insomma, la realtà come sempre è complicata, e penso che mentre ogni teoria può aggiungere qualcosa alla nostra capacità di leggerla, determinarla sia un altro discorso e lo strumento giuridico, in un senso o nell'altro, uno dei meno appropriati.