Gloria Anzaldúa abita le spaccature
Scrittrice, poeta teorica femminista-queer chicana texana patlache (parola nahuatl per lesbica)
Gloria Anzaldúa, sociologia, scrittrice e teorica culturale chicana, sa che cosa significa vivere al margine e abitare «le spaccature». Per definirsi una volta ha usato queste parole: «Scrittrice, poeta teorica femminista-queer chicana texana patlache (parola nahuatl per lesbica)».
Precisa, sicura, minuziosa.
Molte delle questioni che analizziamo nel contemporaneo sono questioni di rappresentazione. Il modo in cui si raccontano le cose, il mondo, i soggetti, i corpi, cambia il modo in cui pensiamo a quelle cose, a quel mondo, a quei soggetti, a quei corpi. Nelle opere di Anzaldúa è l’alterazione del sé lo strumento per analizzare la raffigurazione della soggettività nel contemporaneo da una prospettiva postmoderna, postcoloniale e queer.
«Il Postmoderno è quello che si ha quando il processo di modernizzazione è terminato e la natura è sparita per sempre», scrive il critico letterario marxista Fredric Jameson in Postmodernismo: ovvero la logica culturale del tardo capitalismo.
Per Jameson esistono tre tipi di capitalismo: il primo è riconducibile alla produzione industriale (il “mito della modernità”); il secondo all’avvento del fordismo e della produzione di massa con la standardizzazione dei prodotti; il terzo è associato alla globalizzazione e all'economia finanziaria ed è caratterizzato dalla precarietà del lavoro.
Io penso all’esistenza di un quarto tipo di capitalismo, che ricondurrei al modo in cui nel contemporaneo si rappresenta la realtà (nei contesti sociali, nei media, online). Le rappresentazioni nella cultura dominante, le questioni di sguardo, plasmano il rapporto che ogni individuo costruisce nella realtà e con la realtà. Lo scrive anche Anzaldúa: «Come tutti, noi percepiamo la visione della realtà che la nostra cultura ci comunica».
Anzaldúa cerca di decostruire questa visione. È evidente che compie quest’operazione senza sfuggire alle definizioni, ma ricercandole talmente tanto da creare una figura in grado di rappresentare la sua condizione di donna che abita le spaccature: la mestiza.
Si tratta di una definizione che si pone, però, alla fine di un percorso d’affermazione in cui non manca l’ambiguità e il rifiuto di una costruzione canonica del sé all’inizio e nel mentre.
La figura della mestiza è presente in Terre di Confine. La frontera, romanzo (ma non solo) in cui Anzaldúa esplora la complessità dell'identità di chi vive lungo il confine tra Stati Uniti e Messico.
Il confine non è soltanto quello fisico, ma è soprattutto un confine simbolico, il percorso di costruzione di un’identità a partire dal margine per raggiungere una nuova coscienza che si pone in modo critico rispetto al mondo e al modo in cui nel modo si esercita il potere: dall’alto verso il basso, ma anche nelle relazioni quotidiane tra i singoli, nei comportamenti dei singoli e nella definizione dei corpi.
Il potere che si manifesta attraverso norme sociali e conoscenze, che plasmano il modo in cui gli individui si percepiscono e agiscono.
Anzaldúa propone la mestiza, che definisce anche «donna scura», come una figura capace di decostruire, attraverso la sua coscienza e la sua esperienza, le contraddizioni della realtà. La mestiza si contrappone alla costruzione di una «purezza culturale basata sulla conservazione di tradizioni oppressive» sessiste e patriarcali.
La condizione da cui la mestiza parte, considerando la sua esperienza di donna lacerata in una «battaglia di confini» e «conflitti interiori» tra la cultura bianca dominante e quella indigena ai margini, è di difesa. Perché vive in un confine in cui si sente tutto e niente, è dentro e fuori allo stesso tempo, troppo ma anche troppo poco, esiste soltanto in base alle definizioni create dalla quella cultura dominante che la vuole subalterna.
Che cosa significa essere una mestiza? È possibile mescolare due culture che ti opprimono in modi diversi?
Attraverso la rottura consapevole con tutte le tradizioni, si ricostruisce l’identità che ogni mestiza vuol dare a sé: «La mestizia rinforza in sé la tolleranza per l’ambiguità, diventa un nahual che sa trasformarsi in albero, in coyote, in un’altra persona, impara a trasformare il piccolo “me” nell’Io totale».
Il conflitto interiore che la mestiza vive genera insicurezza e incertezza: «Nel suo stato mentale di nepantilismo (una parola azteca che vuol dire “lacerata fra vie diverse”), la mestiza è un prodotto del trasferimento dei valori spirituali e culturali da un gruppo a un altro». Ciò avviene perché è una donna triculturale, bilingue o multilingue, che si pone in continuazione la stessa domanda: qual è la mia identità? A cosa appartengo? A quale collettività presta ascolto la figlia di una madre dalla pelle scura?
Le possibilità di ricostruire la propria identità sono molteplici, quando si sceglie di agire anziché reagire: «Possiamo decidere di sganciarci dalla cultura dominante, cancellarla come causa persa una volta per tutte, e attraversare il confine per entrare in un territorio completamente nuovo».
La mestiza rifiuta il dualismo soggetto-oggetto che la imprigiona e tollera ogni forma d’ambiguità, perché sradicandosi dal pensiero dualistico che appartiene a ogni coscienza individuale e collettiva, accettando lo sbandamento e la confusione come elementi tipici di ogni percorso d’affermazione, è possibile decostruire la cultura dominante.
Terre di Confine. La frontera è un’opera poesia, saggio, autobiografia, romanzo, trattato antropologico, contiene lingue diverse insieme. È un’opera che nel linguaggio sceglie di accompagnare il contenuto, come si può notare in questa poesia:
Perché io, mestiza,
non faccio che uscire da una cultura
ed entrare in un’altra,
perché io sono in tutte le culture allo stesso tempo,
alma entre dos mundos, tres, cuatro,
me zumba la cabeza con lo contradictorio.
Estoy norteada por todas las voces que me hablan
simultáneamente.
«”Sei solo una donna” significa che ti manca qualcosa», scrive Anzaldúa. Ma la vera mancanza appartiene alla cultura patriarcale dominante: ogni donna, come la mestiza, può adottare in sé nuove prospettive.
Il dipinto in foto è dell’artista Miriam Dema.