L’importanza dell’educazione sessuale nelle scuole
Rossano Sasso l'ha definita “una nefandezza”. Il problema di un dibattito serio sul tema è proprio dover spiegare la sua importanza a chi crede significhi leggere il Kamasutra in classe.
Ieri alla Camera si è tenuta una discussione sul disegno di legge per il contrasto della violenza sulle donne e il M5s ha proposto di inserire l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Il leghista Rossano Sasso tuttavia si è opposto definendola “una nefandezza degradante”.
Il problema che si presenta nel momento in cui si cerca di affrontare un dibattito serio sull’educazione sessuale ed affettiva nelle scuole - che io reputo necessaria e importante - è cercare di spiegare la sua importanza a persone che credono ancora si tratti di leggere il Kamasutra nelle classi.
Questa, però, non è una responsabilità di chi apre il dibattito: è una responsabilità di chi lo recepisce, perché nessuno ha mai proposto quest’approccio. Anzi, come spiega lo specialista di salute riproduttiva e sessuale presso l’OMS Dr Venkatraman Chandra-Mouli, l’educazione sessuale è «molto più che parlare ai giovani di sesso e preservativi, ma mira piuttosto a preparare i giovani a una vita sessuale e riproduttiva sana e piacevole».
Nei paesi in cui è presente, continua Chandra-Mouli, «ha degli effetti positivi e non provoca danni» in quanto «promuove comportamenti positivi e, se unita ad una sana dose di educazione di genere, riduce effettivamente gravidanze indesiderate e infezioni trasmesse sessualmente».
Il punto è che viviamo in un contesto ancora legato a schemi patriarcali e in cui la violenza sulle donne è un problema sistemico: lo è perché fonda le sue radici nelle viscere di questa società, nella sua cultura, nel modo in cui ci si approccia alla violenza sulle donne e anche nel modo in cui si guarda alle donne. La Convenzione di Istanbul, infatti, riconosce la violenza sulle donne come «una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi».
Questo è un punto importante, perché spesso viene ignorato e si trattano i casi di violenza sulle donne come casi isolati, che capitano a chi non si è protetta abbastanza.
Esempio lampante è la reazione dell’opinione pubblica alla notizia di uno stupro, dal momento che si legge davvero frequentemente che la donna coinvolta nel caso “se l’è cercata”, che poteva evitare quella violenza, che in fondo poteva evitare di essere una vittima.
Perché fuori ci sono i lupi e spetta alle donne riconoscerli.
Se viviamo in una società impregnata di questa cultura patriarcale e misogina, nelle scuole la situazione non cambia. Non può cambiare. Perché i messaggi proposti sono gli stessi.
Oggi ci sono dei mezzi per informarsi, ed è vero. Ma è vero anche che se non si agisce alla base di una cultura che si vuole scardinare, se non la si estirpa alla radice, come si può sperare che cambi? Come si può sperare che il cambiamento avvenga grazie alla minoranza - importante, ma pur sempre una minoranza - di giovani che si informano perché comprendono l’esistenza di un problema?
Gaja Cenciarelli a settembre ha scritto un articolo su Il Post che si chiama “Come parlano d’amore e di sesso le ragazze e i ragazzi”. Io l’ho trovato molto interessate e soprattutto ricco di particolari che io in primis ho potuto constatare nella realtà in cui vivo (ho dei cugini molto più giovani di me, che frequentano ancora il liceo e mi raccontano cose).
Cenciarelli scrive che ciò che vede e che ascolta ogni giorno tra i banchi «non è solo un moralismo di ritorno, bensì un inconsapevole sessismo» e aggiunge anche il termine “pericoloso” proprio perché «è agito come se fosse naturale, come se non ci fosse alternativa, come se tutti i discorsi sulla parità che vengono dall’esterno non fossero un’alternativa da prendere in considerazione».
Tra le tante cose, nell’articolo racconta che tra i suoi alunni c’è un ragazzo di quindici anni fidanzato con una ragazza di quattordici: lui è molto geloso, talmente tanto che lei non può vestirsi come vuole («E che la mando in giro con i pantaloncini corti? Così le guardano il culo! Non esiste. Poi mi tocca menare tutti», dice infatti. E anche lei si definisce gelosa). Inoltre i due hanno già dei rapporti sessuali e spesso senza precauzioni.
Nella classe di questo ragazzo, prosegue, c’è un altro ragazzo fidanzato con una coetanea. E viene deriso perché sta con «una quattordicenne libera, che esce anche senza di lui, che va in gita scolastica e si addormenta sulla spalla di un suo compagno di classe, che se ne frega del fatto che il suo fidanzato la minacci di lasciarla se fa questa o quell’altra cosa».
Non serve che sia io a spiegarvi quanto sia problematico che un quindicenne consideri la sua fidanzata una cosa di sua proprietà e che una quattordicenne che fa la quattordicenne sia considerata una poco di buono.
L’indagine di Ipsos per ActionAid
Di recente è stata condotta un’indagine da Ipsos per ActionAid su cosa gli adolescenti italiani pensano sia violenza, come reagiscono e si difendono, qual è il ruolo degli stereotipi e dei pregiudizi di genere sulla loro vita.
I risultati si basano sulla partecipazione di un campione rappresentativo di circa 800 ragazze e ragazzi tra i 14 e i 19 anni.
Quattro giovani italiani su cinque ritengono che una donna possa sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole, e uno su cinque crede che le ragazze possano contribuire a provocare la violenza sessuale se mostrano un abbigliamento o un comportamento eccessivamente provocante.
La maggioranza dei giovani (80%) considera violenza toccare le parti intime di qualcuno senza il loro consenso, mentre uno su cinque non riconosce questa violenza.
Inoltre sono stati illustrati anche i principali motivi per cui si diventa oggetto di violenza secondo gli adolescenti italiani. Al primo posto sono indicate le caratteristiche fisiche (50%), seguite dall’orientamento sessuale (40%) e dall’appartenenza di genere (36%).
L’indagine ha anche evidenziato che non sempre i ragazzi e le ragazze che subiscono una qualche forma di violenza poi la denunciano. Il motivo principale è la vergogna nel raccontarlo al mondo adulto, seguita dalla paura a dirlo e l’inutilità della denuncia, il timore di ulteriori minacce da parte dell’aggressore.
Sono le ragazze, più dei ragazzi, a vivere con maggior frequenza atti di violenza tra pari, in qualsiasi forma essa si manifesti: infatti rischiano più spesso di «ricevere molestie verbali mentre camminano per strada, di essere toccate nelle parti intime, di essere vittime di scherzi o commenti a sfondo sessuale e della diffusione di foto/video che le ritraggono in situazioni intime».
Perché l’educazione sessuale è importante
Ad agosto sul sito di FPA (Family Planning Association) - organizzazione che lavora per diffondere consapevolezza sul sesso e sulla salute sessuale - sono state pubblicate delle statistiche sull’impatto di un’educazione sessuale sui giovani proprio per sfatare i falsi miti che esistono sul tema.
Per esempio, si crede che l’educazione sessuale incoraggi i giovani a fare sesso precocemente, ma è proprio il contrario: l’educazione sessuale di alta qualità aiuta i giovani a «orientarsi nel mondo, a fare scelte informate e a sviluppare capacità di pensiero critico».
Questi dati provengono dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), che ha esaminato 87 studi separati sui pro e contro dell’educazione sessuale.
In Inghilterra, per esempio, il programma di educazione alle relazioni nella scuola primaria è concepito in modo che i bambini imparino:
A riconoscere e segnalare sentimenti di insicurezza nei confronti di qualsiasi adulto.
Le differenze tra contatto fisico appropriato e inappropriato o non sicuro.
Come vengono condivise le informazioni online e le regole per mantenerle sicure.
Come riconoscere i rischi online, i contenuti dannosi e i contatti dannosi e come/dove segnalarli.
Come segnalare preoccupazioni o abusi.
Come chiedere consiglio o aiuto e continuare a provare finché non vengono ascoltati.
Dove ottenere consigli, ad esempio dalla famiglia, dalla scuola o da altre fonti.
I ricercatori dell’Università di Bristol hanno poi analizzato i risultati di ricerche condotte mediante interviste a giovani di età compresa tra i 4 e i 25 anni in cui è stato chiesto loro di esprimere delle opinioni sull’educazione sessuale e relazionale nelle loro scuole.
Come si svolge? Cosa si dovrebbe fare in più?
Le conclusioni sono state pubblicate sul British Medical Journal: per loro il concetto di sex-positive dovrebbe incentrarsi sul consenso, sulla scelta e sul benessere sessuale (piuttosto che sull’astinenza) e fornito da esperti che mantengono confini chiari con gli studenti. Dunque l’ideale sarebbe un curriculum ben pianificato, fornito da esperti qualificati.
L’Unesco ha inoltre evidenziato che l’educazione sessuale nelle scuole ha un impatto positivo in quanto migliora la conoscenza dei giovani sull’argomento e migliora i loro atteggiamenti riguardo alla salute e ai comportamenti sessuali e riproduttivi; aumenta l’uso del preservativo e di altri contraccettivi quando sono sessualmente attivi; previene dalle gravidanze indesiderate e dalle infezioni a trasmissione sessuale quando presta esplicita attenzione ai temi del genere e del potere.
Kayla Marissa Lowe - specialista in promozione della salute presso il dipartimento sanitario del distretto del fiume Kentucky - scrive che l’educazione sessuale consente ai giovani di «rendersi conto che la loro salute e il loro benessere sono importanti» ed è dunque necessaria nelle scuole.
Tenere gli occhi bassi
Su YouTube c’è un intervento molto interessante della scrittrice e attivista Rayne Fisher-Quann sull’importanza dell’educazione sessuale nelle scuole in cui racconta che molte persone le chiedono come mai per lei sia così importante, dal momento che per loro «non è mica una questione di vita o di morte».
Fisher-Quann fa - giustamente - notare che viviamo in un mondo annichilito dalla violenza di genere e che ogni anno tantissime donne subiscono delle violenze sessuali. Lei stessa ha dovuto imparare a tenere gli occhi bassi, sempre.
Il suo intervento risale al 2013, ma qui riporterò dei dati più recenti: ad agosto l’Ente delle Nazioni Unite per l'uguaglianza di genere e l'empowerment femminile ha scritto che nel mondo 736 milioni di donne – quasi una su tre – sono state vittime di violenza fisica e/o sessuale da parte del partner, violenza sessuale da parte di persone diverse dal partner o entrambe almeno una volta nella vita (il 30% delle donne di età pari o superiore a 15 anni).
Rayne Fisher-Quann dice anche che ci sono donne che muoiono, nel mondo. E che muoiono per il solo fatto di essere donne. E quindi sì: per molte di loro è una questione di vita o di morte, davvero.
L’educazione sessuale e affettiva nelle scuole - e io dico: anche attraverso tutti i mezzi d’informazione - può aiutarci a scardinare quella cultura patriarcale di cui la nostra società è impregnata.
Perché viviamo in un mondo ancora annichilito dalla violenza di genere. Anche se non siamo più nel 2013.
👏👏👏
l'idea stessa di dover ancora dibattere se sì o no è frustrante
noi, cioè scuola media inferiore a Bologna, da tempo facciamo qualcosa basato su un percorso ideata da Ausl (di derivazione Olanda, ok)
e per quanto sia poco, è importante
e non hai idea di quanto ragazzini e ragazzine siano impregnati di categorie antiche e terribili
e di quanto la rete, e l'uso che ne fanno, sia in una parola nefasta
e di come i giovani maschi tendano quasi da subito a riprodurre modalità terrificanti
poi, certo, not all men
e non tutte le ragazzine, certo
ma c'è tanto lavoro da fare
a cominciare da chi mandare in Parlamento...