Buongiorno,
sono stata inattiva per un po’: in queste settimane mi sono totalmente immersa nello studio, ma non ho abbandonato la mia newsletter. Oggi voglio parlarvi di Luce Irigaray, psicoanalista e nota esponente del femminismo francese degli anni settanta.
Nel 1974, mentre in Francia era attivo un intenso dibattito sul ruolo del soggetto negli spazi femministi e sui problemi del linguaggio, Irigaray pubblica Speculum. L’altra donna, grazie a cui la discussione pubblica su queste tematiche riceve una nuova - e decisiva - svolta. Come spiega la filosofa Adriana Cavarero in Le filosofie femministe, l’opera propone una “fondazione” della teoria della differenza sessuale attraverso un’analisi critica sia delle teorie di Freud (e, in realtà, anche del maestro dell’autrice, Lacan) sia dell’intera tradizione filosofica occidentale, da Platone a Hegel.
La prima parte è dedicata alla psicoanalisi e la seconda alla filosofia. Due approcci apparentemente diversi, che creano un ponte di contatto tra ciò che è stato detto in passato e ciò a cui l’autrice vuole arrivare: un’analisi dell’essenzialità della differenza sessuale, che, però, esalta e non deprime la sessualità femminile, a differenza della psicoanalisi e della filosofia, che, nelle loro teorie, sono state troppo legate a pregiudizi maschilisti.
Il riferimento allo “speculum” (contrapposto allo “specchio”) nel titolo è un indiretto attacco a Lacan e, in particolare, ad una teoria da lui proposta in uno scritto che si chiama Stadio dello specchio (risalente al 1937, rivisto nel 1949, reso noto al pubblico nel 1966): nell’infanzia del bambino e della bambina l’esperienza diretta con la propria immagine riflessa in uno specchio è fondamentale, in quanto è così che iniziano a “costruire” il “senso” della loro identità come individui separati dalla madre e dagli altri. Lo specchio, spiega Cavarero, che rinvia soltanto immagini, precede di poco la comparsa del Padre e della sua Legge, che è fatta di parole e sanziona lo status e il ruolo rispettivo di maschio (superiore) e di femmina (inferiore). L’ordine imposto dalla Legge del Padre, nella terminologia lacaniana, è definito “ordine simbolico”: i “simboli” sono le parole, i discorsi, che si distinguono, quindi, dalle “parole” e dai “segni”, che appartengono invece alla fase pre-edipica, che un’altra autrice, Julia Kristeva, definisce “ordine semiotico” (ordine della madre), in opposizione all’ordine “simbolico” (del padre).
Lo speculum è uno strumento concavo che i medici utilizzano prevalentemente in ginecologia: serve a guardare, quindi, l’organo genitale femminile. Irigaray utilizza l’immagine dello speculum per spiegare che la donna “funziona”, nel ragionamento proposto da Lacan, legato, cioè, al Linguaggio e alla legge del Padre, come “specchio” per l’uomo che, rapportandosi alla sua immagine riflessa, la guarda nella sua condizione di inferiorità e vede se stesso nella sua condizione di superiorità. Ciò si applica anche all’ambito della sessualità: Cavarero scrive che il fal-logo-centrismo è l’atteggiamento che pone al centro di tutto l’uomo, il fallo, il discorso dell’uomo, la parola dell’uomo. Il fallo diventa, così, l’attività; la vagina il vuoto.
Irigaray spiega che, se utilizzassimo uno speculum al posto dello specchio, noteremmo che quel “vuoto” non è un vuoto: è una realtà e sessualità ricca e molteplice. Ma Freud e il pensiero maschile vedono nella donna e nel suo organo genitale soltanto quel vuoto, l’assenza di ciò che, invece, l’uomo possiede (di qui la famosa “invidia del pene” attribuita da Freud alla bambina).
«Ma se l’oggetto si mettesse a parlare? Intendiamo anche vedere: ecc. A quale disgregazione del “soggetto” assisteremmo?», si chiede l’autrice.
Nella seconda parte del libro, invece, c’è una riflessione sul mito della caverna proposto da Platone: la caverna, per l’autrice, è l’utero materno da cui nasce l’essere umano; è lo speculum che si contrappone allo “specchio” esterno. La caverna è la donna, l’esterno è l’uomo. Ed è così che la donna è sempre stata rappresentata. Il compito del femminismo è costruire una nuova realtà e allontanarsi da questi schemi fallocentrici.
«Ogni teoria del “soggetto” si trova sempre appropriata al “maschile”. Assoggettandovisi la donna rinuncia, a sua insaputa, alla specificità del proprio rapporto con l’immaginario», scrive l’autrice.
Tutto super interessante. Grazie di averlo condiviso!