Partenope
L’AMICA GENIALE 4 - Il nuovo romanzo di Lenù, il disincanto nel rione e la morte di Alfonso negli episodi 7 e 8
Buongiorno,
oggi io e Francesca Perricci commentiamo gli episodi sette e otto de L’amica geniale 4, andati in onda ieri su Rai1.
Nell’ottavo episodio, in particolare, salutiamo un personaggio importantissimo per la tetralogia: Alfonso. Francesca, nel suo pezzo, ha decritto brillantemente l’accostamento tra lui e il mito di Partenope.
Io, invece, mi sono dedicata al settimo episodio, con un focus su Dalla parte di lei di Alba de Céspedes.
Buona lettura
Anna
Ep. 7 — Ritorno
Non è un caso che la piccola Tina, nella foto insieme a Lenù usata come copertina per un articolo dedicato al suo nuovo romanzo, tenga in mano Dalla parte di lei di Alba de Céspedes.
Ne La Frantumaglia, una raccolta di lettere e interviste all’autrice de L’amica geniale, Elena Ferrante racconta che il libro di de Céspedes rientra tra le sue ispirazioni letterarie, perché nella narrazione c’è «il racconto di un rapporto madre-figlia memorabile».
A tal proposto, Ferrante scrive:
«Quando lessi quelle pagine la prima volta avevo sedici anni. Mi piacquero moltissime cose, altre non le capii, altre ancora mi infastidirono. Ma quel che conta fu la lettura conflittuale che si sviluppò: non riuscii a identificarmi sul serio con la giovane Alessandra, l’io narrante».
Il rapporto tra Alessandra, l’io narrante nel romanzo di de Céspedes, e la madre Eleonora all’epoca commosse molto Elena Ferrante, tant’è che riuscì persino a riconoscere se stessa nel momento in cui Alessandra «raccontava il suo legame profondo con la madre», ma allo stesso tempo provò una sensazione di disturbo verso il consenso della narratrice alla madre per il suo rapporto sentimentale con il musicista Harvey.
«Io avrei combattuto con tutte le mie forze un ipotetico amore extraconiugale di mia madre, anche il solo sospetto mi accendeva di rabbia», scrive infatti Ferrante.
La fotografa del quotidiano pensa che Tina, la figlia di Lila, sia in realtà la figlia di Lenù, e decide di fotografarle insieme. In questa descrizione proposta da Ferrante del libro Dalla parte di lei, io rivedo però molte dinamiche presenti nel rapporto tra Lenù e Dede, la sua prima figlia avuta dal matrimonio con il professore Pietro Airota.
Non è forse Dede a provare una sorta di risentimento per la madre, pur non riuscendo mai a comunicarlo del tutto? Non è stata forse lei la prima a cogliere la sua relazione con Nino, da bambina? Non si è sentita sola, messa da parte, a Milano, durante il periodo a casa di Mariarosa?
La maternità, intensa come periodo della gravidanza e il conseguente rapporto madre-figlia, ancora una volta, ne L’amica geniale non è rappresentata attraverso stereotipi, ma nel suo lato più complicato, nelle sue ombre.
Le stesse ombre non mancano nel rapporto tra Lila e Lenù, le due amiche «geniali». In questa puntata scopriamo che Lila ha affidato per un lungo periodo ad Antonio, il fidanzato di Lenù durante la sua adolescenza, il compito di spiare Nino per lei. Così lui ha scoperto tutti i tradimenti di Nino a Lenù, ma, in accordo con Lila, le racconta tutto soltanto dopo che il loro rapporto è definitivamente concluso: dice di averlo fatto perché le persone sono pronte ad ascoltare la verità sul proprio partner soltanto quando l’amore finisce.
Non so se sia stata la scelta giusta, ma è vero che Lenù capisce soltanto in questo frangente di non amare più Nino, di essersi definitivamente distaccata da lui.
Tra lei e Antonio scatta la passione che in adolescenza non avevano vissuto, proprio nella casa in cui aveva scelto di abitare con Nino e le sue figlie. Nel romanzo, la Lenù narratrice descrive così il momento:
«Avvertii il suo odore, che era ancora quello delle emozioni al tempo degli stagni. […] Lui era l’unica persona del cui affetto in quel momento non dubitavo. Per di più il suo corpo scarno, le sue ossa grandi, le sue sopracciglia folte, il viso senza delicatezza mi erano rimasi familiari, non li temevo».
Lenù si trasferisce poi in un appartamento nel Rione Luzzati, proprio nello stesso palazzo in cui vive Lila. Il tutto dopo aver pubblicato il romanzo che aveva messo da parte anni prima, a Firenze, perché era stato bocciato sia da Lila che da Adele Airota.
Lila si era sbagliata, il romanzo su Napoli è ora un successo:
«Ero contenta che si fosse sbagliata. Le avevo attribuito fin dall’infanzia un peso eccessivo e ora mi sentivo come sgravata. La sua autorità non mi era più necessaria, ora avevo la mia. Mi sentii forte, non più vittima delle mie origini, capace di dominarle, di dar loro una forma, di riscattarle per me, per Lila, per chiunque».
Ep. 8 — Indagine
Elena Ferrante ha raccontato di Napoli in modo inconsueto, su questo punto si è insistito più volte. La città di Partenope esiste solo attraverso le due amiche che secondo regole e necessità diverse abitano lo spazio urbano, lo ridisegnano, mescolano e governano il tempo della narrazione, Lila con i computer e i calcolatori, Elena con la scrittura e la necessità di imporre ordine alla realtà.
Agganciandomi al personaggio di Lenù, Storia della bambina perduta decostruisce la scalata sociale che ha da sempre rappresentato uno scarto tra le due amiche.
Se appare evidente, infatti, che Lila si interessa solo a ciò che ha una dimensione locale, e quindi famigliare, Lenù ritorna al rione per mettere in piedi quella che definisce una messinscena da intellettuale; scrive del rione ma le ragioni del suo successo hanno nuovamente messo radici altrove, si sente toccata da una fortuna sfacciata, come se gli eventi, con il loro scorrere guasto, la illuminassero da lontano e la sfiorassero come se fosse ancorata a una roccia, e da lì la tempesta fa meno paura.
Nonostante sia lei a conservare la patente sociale per slittare da un ceto sociale all’altro, e per ammaliare stanze affollate di lettori curiosi, il coraggio di Elena è un’infiorescenza della testa di Lila; è Lila che le restituisce vigore ricordandole che i libri si scrivono per durare, come per l’autrice di Piccole Donne.
Nell’indagine che muove direttamente dal libro rosso di Manuela Solara, Elena e Lila lavorano gomito a gomito per ore, il computer è il foglio perfetto che non testimonia né sbavature, ripensamenti, né brusche cancellazioni.
Potrebbe essere la trasposizione chiave di un pensiero che Ferrante esprime amorevolmente nelle pagine della Frantumaglia.
Qui, come per l’episodio de La fata blu, si ha come l’impressione che la scrittura di Lila stia finalmente per schizzare fuori suggellandosi a quella di Lenù.
L’urto delle loro teste, però, come commenta Ferrante, serve solo a rinsaldare l’idea della reciprocità che attraversa l’intera saga, di autobiografia che si mescola a biografia, di un’idea di scrittura perfetta (quella di Lila) che può esistere e resta solo attraverso i rimandi di Lenù, di questo suo sforzo sfibrante di aderirle facendola poi sua.
Nel testo leggiamo, in riferimento a Lila e a una possibile interpretazione alternativa al titolo del quarto romanzo:
«Le si stampò ugualmente in faccia il rammarico di aver sbagliato valutazione. Si sentì umiliata per essere vissuta attribuendo un potere alle cose che nelle gerarchie correnti contavano poco: l’alfabeto, la scrittura, i libri. Lei che pareva così disincantata, così adulta, mise fine alla sua infanzia - oggi penso - solo in quei giorni».
Sulla scia del tramonto dell’infanzia si muove la collocazione che il mare ha nel testo dell’Amica geniale. Per Elena e Lila bambine raggiungere il mare significava uscire dal labirinto urbano per andare incontro a una felicità indefinita, verdeazzurra, senza la paura del mondo dei grandi. Adesso, nell’età matura, il mare ritorna in scena affiorando proprio da quella stessa violenza.
D’altronde, il mito di Partenope, la sirena che secondo Matilde Serao non sarebbe mai morta continuando a vagare per la città, motivo per il quale Napoli risplende di una luce vivissima, riecheggia nella morte inaspettata e traumatica di un personaggio molto caro ai lettori e alle due amiche geniali. Sto parlando di Alfonso Carracci, il figlio minore di don Achille, legato in particolar modo a Lila da un rapporto ambiguo, noto soltanto a loro due, germogliato ai tempi di Piazza dei Martiri e ricostruito attraverso lo sguardo maturo di Elena.
Secondo Tiziana de Rogatis, come ampiamente spiegato nel saggio Elena Ferrante. Parole chiave, la morte di Alfonso Carracci, ucciso perché un omosessuale che non si è saputo regolare, che a me ha sempre ricordato, per vie traverse, quella di Pier Paolo Pasolini, ricalca la morte di Partenope, un altro essere ibrido appunto, metà donna e metà pesce.
Anche Alfonso, come Partenope, racchiude in sé una duplice natura, quella maschile che come una pianta rampicante continua ad affiorargli sul viso nonostante gli sforzi, e quella femminile, sbozzata niente meno che da Lila, la donna che l’aveva plasmato, che gli si era affacciata sopra tirandogli fuori una parte di sé.
Il fatto che il suo corpo massacrato venga rinvenuto sulla spiaggia di Coroglio, secondo de Rogatis, non è del tutto casuale: lì, verso la parte più prossima a Posillipo, c’è l’isola di Nisida; l’altra si estende verso il limitare dell’ex Italsider, ancora attivo e funzionante nel 1984, anno della morte di Alfonso.
L’identità di Napoli, e dei luoghi citati direttamente e collegati alla fabula dell’Amica geniale sono ibridi, ma allo stesso tempo fuggono da etichette folkloristiche.
De Rogatis ritiene inoltre che Ferrante abbia volutamente parlato dell’affermazione di genere di Alfonso senza fare esplicito riferimento alla cultura del femminiello, sebbene la sua devozione nei confronti di Lila - la donna smarginata per eccellenza e per questo anche “violatrice di tabù - venga accostata al pellegrinaggio campano in occasione della festa della Madonna di Montevergine, la cosiddetta juta del 2 febbraio, per ricordare il miracolo che liberò dalle catene due uomini innamorati salvandoli da morte certa.
Bellissimi gli articoli. Grazie per questo prezioso lavoro. ❤️