«Scrivere la storia da un punto di vista femminista significa capovolgerla: ossia vedere la struttura sociale dal basso e proporre alternative ai valori prevalenti». È con queste premesse che, nel 1980, la filosofa ecofemminista americana Carolyn Merchant pubblica libro The Death of Nature: Women, Ecology and the Scientific Revolution, che ha rappresentato una svolta per gli studi legati alla filosofia ecofemminista.
Nell’introduzione l’autrice scrive che ci sono connessioni millenarie tra donne e natura - e, in particolare, tra subordinazione femminile e distruzione ambientale - alimentate da un processo storico che ha concettualizzato la natura come una macchina anziché come organismo vivente, e ha sanzionato il dominio dell’uomo sulla natura e sulla donna.
A partire dagli anni Sessanta, queste connessioni sono state analizzate da movimenti ecologici e femministi.
Ecofemminismo: origini e storia
Nel 1962 la biologa e zoologa statunitense Rachel Carson ha pubblicato Silent Spring, un libro in cui spiega che la volontà di dominio sulla natura, da parte dell’uomo, sta distruggendo la vita sul pianeta, e tutto ciò ha un impatto maggiore sulla vita delle donne (ciò è stato provato anche da ricerche recenti, che citerò successivamente).
Con Carson e il suo pensiero inizia un progressivo aumento di movimenti femministi, ecologisti e animalisti, che decidono di unirsi con una nuova consapevolezza: l’ideologia che giustifica le oppressioni (in base all’etnia, alla classe, al genere, all’orientamento sessuale, ecc) è la stessa che sancisce il dominio sulla natura.
Il termine ecofemminismo, comunque, compare per la prima volta nel 1974 nello scritto Le féminisme ou la mort di Françoise d’Eaubonne, che è considerato il primo manifesto del movimento ecofemminista proprio perché indaga sul filo che connette la struttura patriarcale della società allo sfruttamento del pianeta.
L’autrice, senza troppi giri di parole, spiega che l’unica soluzione per “prevenire il diffuso omicidio omicidio del vivente” è l’ecofemminismo. In alternativa c’è la morte, appunto.
Quattro anni dopo, nel 1978, la saggista e poetessa Susan Griffin nel libro Woman and Nature: The Roaring Inside Her propone in chiave provocatoria l'identificazione delle donne con la Terra, sia come sostentamento per l'umanità che come vittima della rabbia maschile.
È dalla divisione del mondo di Platone in spirito e materia che parte la sua analisi: la filosofia e la religione occidentali hanno usato la lingua della scienza per rafforzare il loro potere sia sulle donne che sulla natura.
C’è una frase in questo libro che mi ha particolarmente colpito:
«So di essere fatta di questa terra, come le mani di mia madre sono fatte di questa terra, così come i suoi sogni sono fatti di questa terra… tutto ciò che so mi parla attraverso questa terra».
La poetessa femminista Adrienne Rich ha definito l’opera di Griffin «forse il più straordinario lavoro di saggistica emerso dalla matrice della coscienza femminile contemporanea, che ha creato una fusione di scienza patriarcale, ecologia, storia femminile e femminismo».
Credo che per spiegare perfettamente cosa sia l’ecofemminismo, e le sue connessioni con gli studi contemporanei, bisognerebbe soffermarsi su un’idea che accomuna le studiose che si sono approcciate alla tematica negli anni: nel mondo non esiste una gerarchia “naturale”, questa gerarchia è stata creata da un sistema che la proietta, poi, sulla natura per giustificare ogni oppressione. Ciò che i gruppi oppressi hanno in comune è che sono stati inseriti in quella gerarchia come parte di quella natura posta al di fuori della sfera della ragione e della storia.
Approcci contemporanei all’ecofemminismo
Nel 2017 in Italia è stato pubblicato il libro L'ecofemminismo in Italia. Le radici di una rivoluzione necessaria a cura di Franca Marcomin e Laura Cima, che è una raccolta di voci di donne impegnate nella salvaguardia dei territori, della comunità, della biosfera, della salute, nella resistenza – nonviolenta, ma implacabile – al patriarcato, al capitalismo cieco e alla scienza opportunista, per creare nuove pratiche politiche, stili di vita originali e una cultura forte in grado di reggere l’impatto con la globalizzazione e con la crisi: la cultura ecofemminista.
Nel 2020, in Francia, Solène Ducréot e Alice Jehan, co-fondatrici del collettivo Les Engraineuses e organizzatrici del festival ecofemminista Après larain, hanno curato l’opera Après la pluie: Horizons écoféministes, che raccoglie le testimonianze di attiviste ecofemministe.
«L'interesse dell'ecofemminismo è combattere le oppressioni patriarcali nel loro insieme», ha dichiarato Ducréot in un’intervista.
Un altro libro interessante è Dalla parte di Gaia, scritto da Silvana Galassi e pubblicato nel 2022 da Edizioni Ambiente: si tratta di un racconto rivelatore sul ruolo che la donna ha avuto – o non ha potuto avere – nella gestione e nella salvaguardia delle risorse naturali. Ed è, di conseguenza, anche una riflessione sul rapporto diseguale fra uomo e donna e sui modi sensibilmente diversi che hanno avuto per approcciarsi alla Natura nel tempo.
«L’idea di base dell’ecofemminismo è che nelle società occidentali dove vige il modello capitalista-patriarcale, la natura e la donna sono in una condizione che le avvicina perché sono sfruttate entrambe», ha spiegato Galassi in una bella intervista a La Svolta.
Ho trovato molto interessante anche un seminario - che potete trovare su YouTube - della sociologa Amber Fletcher, in cui spiega che la disuguaglianza di genere si sta manifestando anche nel cambiamento climatico.
In particolare, Fletcher spiega di aver parlato di cambiamento climatico con coloro che ha definito esperte viventi del tema: donne contadine nel mondo, il cui contributo al tessuto sociale è spesso e volentieri ignorato.
«Le donne contadine, nello specifico, sono produttrici di cibo invisibili. E la loro invisibilità è parte di un processo culturale che ha associato alla figura contadino un uomo», ha infatti dichiarato.
Il cambiamento climatico ha un impatto maggiore sulla vita delle donne
Nel 2022 un report di UN Climate Change ha dimostrato che le donne spesso subiscono gli impatti del cambiamento climatico in modo diverso rispetto agli uomini, sottolineando al contempo il ruolo fondamentale che le donne svolgono nella risposta ai cambiamenti climatici.
In alcuni paesi molti uomini migrano dalle aree rurali a quelle urbane per lavorare, e lasciano alle donne la responsabilità delle terre e della casa, senza diritti e tutele.
Il report ha analizzato anche l'aumento della violenza di genere a seguito di disastri indotti dal clima.
Ad esempio, le donne e le ragazze in Colombia, Mali e Yemen sono particolarmente a rischio di subire violenze di genere a causa della combinazione di impatti del cambiamento climatico, degrado ambientale e conflitti.
Nel 2017 a Porto Rico si è verificato l’uragano Maria, definito la peggiore tempesta nella storia moderna degli Stati Uniti, in quanto hanno perso la vita quasi 3.000 persone e decine di migliaia sono state sfollate.
Un rapporto di Oxfam ha dimostrato che, dopo l'uragano, quando si è trattato di riprendersi dalla distruzione, l’impatto sulla vita delle donne è stato molto più duro rispetto a quello sulla vita degli uomini.
«Le donne di solito passavano - da sole e senza aiuti - ore a strizzare a mano asciugamani fradici, ad appenderli, ad asciugare i vestiti, a portare contenitori d'acqua in cucina, a fare il bagno ai bambini nei secchi o a lavare i pavimenti con l'acqua piovana raccolta in bidoni. È stato estenuante e demoralizzante», afferma il rapporto.
«Nelle comunità rurali di tutto il mondo, le donne e le ragazze si occupano in modo schiacciante del lavoro di raccolta di cibo, acqua e risorse energetiche domestiche», afferma Mayesha Alam, esperta di clima, diritti delle donne e conflitti alla Yale University.
«Man mano che la siccità peggiora e le foreste bruciano, devono percorrere ulteriori distanze e dedicare più tempo all'acquisizione di queste risorse», conclude Alam.
Dopo l'uragano Katrina nel 2005, le donne afroamericane sono state tra le più colpite dalle inondazioni in Louisiana. Con l'innalzamento del livello del mare, le città basse come New Orleans saranno sempre più a rischio.
«A New Orleans moltissime famiglie povere della città erano sostentate da madri single, che prima facevano affidamento su reti di comunità interdipendenti per la loro sopravvivenza quotidiana. Lo sfollamento avvenuto dopo Katrina ha sostanzialmente eroso quelle reti, esponendo le donne e i loro figli ad alto rischio», ha raccontato a BBC News Jacquelyn Litt, professoressa di studi sulle donne e sul genere alla Rutgers University.
Interessante aggiungere il cambiamento climatico alle lotte del femminismo intersezionale.
Non per nulla alle donne non si è mai riconosciuto un ruolo nella produzione culturale, , nel processi di civilizzazione, sse non magari secondario, ancillare e subalterno, schiacciandole sulla loro dimensione fisica, naturale, in quanto fisiologicamente destinate alla semplice riproduzione della specie.